Tsubo, definizione letterale
Lo tsubo è un punto vitale. In giapponese “punto vitale” viene tradotto con due ideogrammi: kyû e sho. Il primo deriva dalla parola “perseguimento” (tsuikyu) e raffigura, idealmente, l’atto di raggiungere e “catturare” una persona.
L’ideogramma dello tsubo deriva dal pittogramma che rappresenta un vaso dall’imboccatura stretta, ma da un interno molto capiente, su cui è adagiato un coperchio, per contenere e custodire qualcosa di molto importante: la forza vitale.
Ritroviamo un concetto simile nel bocciolo: al suo interno racchiude un fiore prezioso da proteggere e, per questo motivo, è come un sigillo. Se cerchiamo di aprirlo con forza, provocheremo dolore e, quindi, un’ulteriore contrazione. Pertanto, l’imboccatura del vaso (cioè lo tsubo) si stringerà. Per far aprire lo tsubo dobbiamo, piuttosto, stimolare e premere con la giusta pressione, con naturalezza e con dolcezza.
Negli antichi manoscritti cinesi, lo tsubo viene chiamato keiketsu. Anche in questo caso ritroviamo il concetto del vaso che, però, viene rappresentato da diversi ideogrammi. Un tetto è adagiato sull’ideogramma che rappresenta il numero otto che, per somiglianza grafica, ci riporta al concetto di entrata. Dunque, nuovamente, un piccolo ingresso che precede un largo vano.
Non solo un punto
Lo tsubo, secondo questo punto di vista, non è solo un punto sulla pelle, ma una rientranza dall’entrata stretta. L’idea di essere ricoperti da questi “buchi” potrebbe metterci a disagio ma, senza di essi, non potremmo sopravvivere. La nostra pelle separa ciò che sta all’interno da ciò che è all’esterno, ma la “chiusura” non è del tutto positiva. Basti pensare che, in giapponese, la parola “autismo” viene tradotta con un ideogramma che rappresenta la chiusura in se stessi. I due “mondi” (interno/esterno) riescono a comunicare proprio tramite questi “buchi”. Essi sono presenti nelle membrane cellulari, infatti l’ameba si nutre ed elimina i rifiuti tramite essi. Inoltre, durante il processo di crescita dell’individuo, si sviluppano gli orifizi (cioè ingressi specifici), come l’ombelico, che si chiuderà in seguito al parto.
Si dice che, nell’essere umano, vi siano nove kyô, cioè dei buchi molto stretti. Nelle scuole di shiatsu si insegna che questi nove punti non debbano essere stimolati per nessuna ragione. È opportuno ricordare che sulla pelle sono presenti pori e ghiandole sudoripare, che tuttavia si differenziano dai keiketsu. Questi ultimi, infatti, sono buchi attraverso cui possiamo vedere il ki-ketsu dei meridiani. I termini ki e ketsu fanno riferimento all’antica filosofia cinese e non indicano l’ossigeno e il sangue in sè, ma si ricollegano all’importanza del respiro e della fluidità circolare. La vita è possibile grazie all’energia invisibile ai nostri occhi (ki) e alla presenza dei liquidi corporei (ketsu). Questi due elementi scorrono nei meridiani e i keiketsu, cioè gli tsubo, ci consentono sia di fare una valutazione che di comunicare con l’ambiente esterno.